A volte, spero sarà capitato anche a voi (altrimenti faccio una chiamata a uno bravo), parlo con il mio cervello, in una sorta di dialogo tra due emisferi sui massimi sistemi. Spesso sinistro e destro sono in disaccordo, ma su una cosa si autocompletano, generando dei climax ascendenti notevoli: i giochi da tavolo.
Ed ecco che, alla vista di una scatola chiusa ed in previsione di una giornata ludica, inizia il film: sigla di un unboxing in stile viaggio dimensionale (cosa si celerà dall’altro lato del coperchio?), introduzione con decine di umpa lumpa che svuotano tutto, intavolando in qualche secondo dei Gloomhaven, dei Mage Knight, dei Nemesis o un’intera collector’s edition di Bloodborne. Sipario, ed ecco che inizia il match: su un enorme tavolo in legno massello all’interno di un salone ottocentesco illuminato a giorno da ceri papali, centinaia di pezzi si muovono in un’armonia regolamentosa, una danza derviscia in fast motion che alla fine rallenta, mostrando il vincitore che alza le braccia (sogghignando agli avversari o all’infido gioco collaborativo, naturalmente). Naturalmente, quello sono io. Poi i ceri si spengono con folata di vento e si va a festeggiare a idromele e grog, mentre gli umpa lumpa rimettono tutto a posto.
Titoli di coda.
Poi la scatola la apro veramente, e mi rendo conto che il film non è “Una notte ludica da leoni” ma “L’hai voluto il vaso di Pandora? E mò aprilo”. Apro la scatola e mi trovo davanti alla solita, impietosa scena di meeple sgargianti, miniature rampanti e mazzi lucenti. Tutti, naturalmente, in entropica follia, come se un nano ubriaco e impazzito avesse fatto visita a tutti i miei giochi, il giorno prima di giocarli. Non ci sono bustine che tengano, ci ho provato anche con i portaviti, ho preso cartoni, foam core, taglierini, ho assunto un ingegnere gestionale. Ma niente, non funziona. Cerco gli umpa lumpa, li chiamo, ma vedo solo un gatto che si lecca dove non batte il sole. Guardo il mio tavolo e cerco di immaginarmi improbabili tetris per far stare tutto, pescando da lontani ricordi di calcolo combinatorio e tutorial di quella giapponese che, ridendo a 60 denti, ti dice che devi fare ordine in casa.
Titoli di coda?
No!
Domanda: “e mò?”. Risposta: “Organizer!”. Cerco, trovo, scelgo… ma questo non separa i token! Ricerco, ma in questo dove metto le carte? Ci riprovo, ma questo non ha senso! Ma non esiste un qualcosa per organizzare, intavolare, non far alzare la scatola, tenere le carte imbustate, far risparmiare spazio sul tavolo? In altre parole: esiste qualcosa che si avvicini al mio film?
Questa domanda è stata il nostro chiodo fisso, qui nella tana dei The Dicetroyers. Aleggiava nell’aria, saliva e scendeva in picchiata come uno Stuka della Luftwaffe, sganciando terribili bordate di disordine. Ma abbiamo resistito al fuoco, ci siamo rialzati, ed è nata una parola, che riassume un po’ tutta la filosofia dei nostri organizer:
Setupper.
Dato che gli umpa lumpa non esistono (è vero! Non esistono! Devo chiamarlo quello bravo?), serviva qualcosa in più: un prodotto che, da solo, riassumesse questi magici verdi operatori di benessere in pochi, semplici ed efficaci gesti. Non solo nel setup, ma durante la partita, e nella remise en place, del gioco. E il film si è trasformato, da utopici sogni di gloria mai soddisfatti, a solidi contenitori e inserti, immaginando il gesto della presa del token, dello sfilare la miniatura, del tenersi ben vicini i propri meeple, evitando di spargere ovunque pezzi nella scatola, o sul tavolo.
Il lavoro che facciamo, per creare un setupper, parte dal regolamento del gioco, continua nel gesto e dopo, solo dopo, arriva su un progetto. Se ogni gioco è unico, ogni setupper deve essere unico, e deve essere quel materno abbraccio che stringe un gioco forte nella scatola, per poi lasciarlo, in un attimo, libero di esprimersi al meglio quando è giusto e doveroso farlo.
Quello di trasformare un’impresa ludica in una passeggiata di organizzazione è il lavoro che cerchiamo di fare tutti i giorni: troppi capolavori sono rimasti a prender polvere sugli scaffali, in godottiana attesa di guizzi di volontà. Troppe meccaniche sono rimaste nella testa, e in una scatola con chili di pezzi. Troppo lunga l’attesa, troppo prezioso il premio. È tempo di cambiare.
Ci saremo riusciti? Ai posteri l’ardua sentenza.
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